FIABE E LEGGENDE
Fatale notte! notte di incanti e meraviglie! Un grido sommesso, dai canali più spopolati al lido, corre di bocca in bocca nella folla atterrita. Fu
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Carlo, e mentre si aprian tarlate imposte di cascinali, ed apparian d'un tratto camicie bianche alle finestre nere, e, nella brina, per sentieri
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L'uscio tarlato e nero chiuse a doppia chiave, e al chiodo che pendeva da una sconnessa trave sorrise come al volto di una donna amorosa, o alle
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La stanzuccia di Steno stava accosciata in alto di un palazzo affittato da un ebreo di Rialto; palazzo in cui da secoli i topi son signori, e che
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pargoli ridenti sul focolar gettata, quelle ultime, vaghe, fantastiche scintille che sembrano una ridda di monachine brille. L'acque oscure parevano
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, aguzza, immobile,in alto mar svanìa, pareva una gran spada brandita da Cagliostro contro l’ascoso ventre di qualche immenso mostro; San Marco
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Era un gaio cervello già di togate zucche nella dotta Bologna, e di dottori in fieri la gioia e la vergogna; gran rompitor di ciotole, gran maestro
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, tu che ogni giorno alla turba ti sveli, padre, una volta, una sola, a me svèlati! Deh mi esaudisci e mi dona, o Signore, un po' di lusso, di calma e di
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Ed apre la lanterna. La luce che n'è evasa saltellando si posa su quattro basse mura, dove leggonsi cifre di magica scrittura, e pendon croci e
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tanto eppure contenente un mistero più di una culla dolce, più buio di un avello ?... Solo forse nell'aria qualche migrante augello tentò un trillo di
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esotiche - a cui garba por sui muri un po' di barba, scomponean lo stil corretto di un pregievole architetto. E lontan, lontano, all'ultimo fil di cielo, un
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amanti ; odi la serenata ? Già sospirato ha il fiauto, la ghitarra è intonata, e la gondola, nido d'affetto e di armonia, lungo il buio canale lentamente
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Per un sentiero a margini di gigli e di roveti, un lungo stuol precedono due giovani poeti; non hanno al crin l'olimpico raggio del greco Apollo, non
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Vedi la selva delle quercie estatiche drizzar nel buio le braccia ritorte, funebre asilo di civette e d'upupe in vago sonno assorte? Le diresti
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ricorda di gioia e di dolore, in cui, fra il lieto stuolo per la soglia accorrente, una vaga fanciulla, pallida, sorridente, dal padre inosservata
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- I miei giorni in un sogno dileguano; son già lungi, ben lungi i più belli! Come un volo - di uccelli - che emigrano e che solo - precipita in mar
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Puri amor che crescete nell'ombra e nel silenzio, terrene ambrosie fatte di cicuta e di assenzio, genuflessioni d'anime dall'idolo ignorate, voti
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saperlo, adesso l'elemosina fate: quell'occhio vagabondo due pupille ha scontrate, quel pallor senza nome le innondava di cielo. Oh non troppo
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I salici piangenti hanno attitudini di prefiche commosse: sembran sudarii per raccoglier lagrime le sottoposte fosse. E, come vive, le cime si
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Quando entrò nel palazzo l'Ebreo conquistatore tutto mutò sembianza, tutto mutò colore, e all'amante di sasso crebber le noie e il danno. Tra le
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Era un parco antico e squallido da molt'anni abbandonato; desolato come un campo di battaglia, pien di nidi, e rami e zolle, come un colle - orïental
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I fior che nascon tardi e a cui par che la luna l'acre olezzo regali, già per l'aiuola bruna cominciano a brillare, come un altro corteggio di stelle
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Quelle estreme parole non le ha don Diego intese? O credere non vuole che Dio possa far tanto per strappar dalle viscere di un uom l'ultimo pianto
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di Olimpio segna sulle bianche nubi un semicerchio che sembra la porta di una lontana galleria nel cielo, buia come un mister. Sono allagate le
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; il buio gli impedìa di vedere. Ma cogli occhi dell'alma vedeva. In quella tragica, misteriosa calma, giacean creature umane al suolo; o addormentate
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- Chi scelse a battezzarti questo nome divìno, mia piccola Contessa, fu un vate o un indovino? - Il mio nome di Bella!... furon due tristi cose, il
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L'uom se ne va senza indagar l'arcano: giunto alla meta, al teunine abborrito, al dì che tutto strugge, si accorge di aver stretto nella mano un po
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- Di chi è quella casa? Dimmelo, vecchio. - Quella ? - Dove è entrata una donna. . . - Affé, la è una storiella che mi chiedete, o Steno, pericolosa
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Un grido acuto, lungo, angoscioso, la oscura squarciò calma notturna. Di livida paura ansimante, l'Ebreo, signor di quel palazzo da cui la mia
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immobili affisan la lucerna, palpitante di fievoli raggi e morente anch'essa, sembra la arcana calma dell'infinito impressa. Oh quel raggio di sole, perché
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La marina rifulge simile a terso argento; non un fiocco di nube, non un filo di vento; l'alcïon che coll'ali sferza l'acque tranquille le increspa e
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fanciulla, e nelle vene gli rifluì l'antico nobil sangue, e gli parve rivedersi d'intorno dell'infanzia le larve, E che fosse il baleno di un attimo
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nell'ombra la sospirata amante... O minuti divini di speranza e dubbiezza, non vi valgono quelli della secura ebbrezza, come non vince il sole del
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- É un sì! - gridò Lionello, e fu un grido sì forte che rintronò per tutte le taciturne porte del palazzo affittato dall'ebreo di Rialto. Certo il
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- Troppo tardi! - Di Steno fur l'ultime parole. E sparì. Mie signore dalla cera stravolta perché, mai non avendo che un amante alla volta, già
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Benché adorna di pelo molto canuto e raro era bella la testa di messer Diego Alvaro; quando uscia dal Consiglio nell'ampia toga bruna, pareva in lui
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Or tutto da quei petti, fuorché il furore, è in bando. - Ferro e inferno! cotesta, e quest'altra ripara! - Dalla man di un vegliardo tu a darle
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Più in su della nebbia, più in su della torre, nei campi che l'aquila superba trascorre, ergeva il fantastico suo ciuffo un abete, possibile pania di
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nebbia disvela, comincia a far vela, nel tremulo spazio, la nave del dì!
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; tu dubiti che m'ami?... forse ch'io mai le dissi uno solo dei cieli, uno sol degli abissi in cui per lei travota è la mia vita? - E come se di te non
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Dio che misura il vento all'agnello tosato perché all'uom non misura, quando il verno è arrivato de' suoi dì tempestosi, le bufere del cuore? Perché
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questa scabra valle, eran peso leggero alle sue scarne spalle, eran foglie di rosa. Da quell’ora (deh! amici di me non vi burlate perché siete felici
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(ché non cada pria del dì), la leggenda delle Urì ; dappertutto, in terra e in aria, l'alto lutto ed il silenzio, le movenze spaventevoli e le magiche
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, e, offrendo in olocausto l'anima al suo buon santo, rattenendo il respiro e rattenendo il pianto, quasi aprisse la porta di una chiesa, la porta del
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Genti pie che pregate prima di porvi a letto, non pregate pei morti che stan nel cataletto non pregate per gli ospiti del tenebrore eterno, che dal
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, tutti... - Il tuo bel Cicerone ?... - Eccolo - E si toccava la giubba di velluto. - Davver non lo ravviso, gli nego il saluto. E le sante Pandette
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snudato il ferro, e sta innanzi alla porta come un tronco di cerro. Orribile minuto! Quel vecchio dalle braccia conserte al petto, immobile e taciturno, in